AI Overviews: più vicini a un chatbot che a un motore di ricerca?

Qual è la differenza tra modello e agente LLM?

C’è un dettaglio interessante emerso da un leak sui nuovi AI Overviews di Google, quei riassunti generativi che troviamo sopra i risultati di ricerca. In alcuni casi, al loro interno compaiono etichette come Intent e Priority. Ora, questi termini non arrivano dal nulla: fanno parte del vocabolario di Dialogflow, la piattaforma di Google per costruire chatbot e agenti conversazionali.

La domanda quindi sorge spontanea: e se gli AI Overviews non funzionassero come un motore di ricerca classico, ma come un assistente virtuale? In altre parole, invece di limitarsi a restituire link basati su keyword e ranking, Google potrebbe già oggi comportarsi come un agente che interpreta la nostra domanda, stabilisce un ordine di priorità tra le possibili risposte e ci propone quella che reputa più utile.

Intent e Priority: le regole del gioco

In questo scenario, i concetti chiave diventano due:

  • intent, cioè l’obiettivo reale dietro la query;
  • priority, ovvero il punteggio che decide quali risposte meritano la corsia preferenziale.

Facciamo un esempio: se cerchi “pizza vicino a me”, Google non si limita a interpretare le parole “pizza” e “vicino”, ma riconosce che in realtà il tuo intento è ordinare cibo. Una volta capito l’obiettivo, passa a valutare le varie opzioni a disposizione e assegna un livello di priorità. Se due risposte sono simili, non vince quella con più link in entrata, ma quella con la priorità più alta.

Come Google sceglie cosa mostrarti

Il processo non è banale. Da una parte ci sono regole grammaticali molto precise, che permettono al sistema di reagire bene anche con pochi esempi e di aggiornarsi rapidamente. Dall’altra parte c’è il machine learning, che invece ha bisogno di grandi quantità di dati, ma che funziona meglio quando le query sono complesse o ambigue. Google, in sostanza, non sceglie una sola strada: usa entrambi gli approcci e, a seconda della situazione, tira fuori la soluzione più solida.

Ogni possibile risposta viene poi sottoposta a un’ulteriore valutazione, un punteggio di confidenza che va da 0 a 1. Se siamo nell’intervallo alto, diciamo tra 0.8 e 1, la risposta ha buone probabilità di essere mostrata. Se invece la sicurezza scende, la risposta può essere esclusa o sostituita da un fallback. Insomma, non tutte le risposte hanno lo stesso peso.

Documenti, FAQ e contesto

Ma non finisce qui. Gli AI Overviews possono attingere anche a knowledge connectors, cioè documenti esterni come guide, FAQ o knowledge base aziendali. In pratica, se un contenuto strutturato in questo modo risponde bene a un intento, può guadagnarsi spazio privilegiato. Inoltre c’è la variabile del contesto, che tiene conto della “conversazione” in corso: se fai ricerche successive su un tema, il sistema non riparte da zero, ma tiene traccia di quello che stai cercando.

E la SEO che fine fa?

Ed è proprio qui che le cose si fanno interessanti per chi si occupa di SEO e marketing. Nel modello tradizionale, la competizione si giocava sulle keyword, sui link e sull’autorità dei siti: tutti i contenuti gareggiavano, almeno in teoria, sullo stesso piano. Con questa logica invece cambia tutto.

Se davvero Google ragiona in termini di intenti e priorità, non basta più essere rilevanti: bisogna essere la risposta più adatta a quello specifico intento. Alcuni contenuti partono già avvantaggiati, altri rischiano di rimanere invisibili. È una logica molto più vicina a quella delle conversazioni che a quella dei motori di ricerca.

Cosa fare adesso?

Per chi produce contenuti, questo significa adottare un approccio diverso. Bisogna pensare non solo a cosa scrivere, ma a perché un utente cercherebbe quel contenuto. Non basta spiegare “cos’è X”, bisogna anche raccontare “come si fa X”, “quando serve X”, “perché è importante X”. Le risposte devono essere complete, specifiche e ridurre al minimo i margini di incertezza, altrimenti il sistema tenderà a scartarle.

Vale la pena anche lavorare sulle varianti di query, cioè immaginare tutti i modi in cui una persona potrebbe porre la stessa domanda. È un po’ come addestrare un assistente: più esempi gli dai, meglio capirà. E infine, non dimentichiamo il ruolo di FAQ e knowledge base, che diventano veri e propri acceleratori per guadagnarsi visibilità nei risultati generativi.

Il cambio di paradigma

Se mettiamo insieme tutti questi indizi, il quadro è chiaro: Google non sta più solo “cercando” informazioni, ma sta conversando con noi. Gli AI Overviews si comportano come un assistente virtuale che capisce cosa vogliamo, valuta le risposte, assegna priorità e ci propone quella più convincente.

Per chi lavora con i contenuti, la sfida è evidente: non basta essere trovati, bisogna diventare la risposta giusta, al momento giusto, per l’intento giusto.

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